In che modo la guerra tra Russia e Ucraina cambierà le politiche energetiche? Sarà il motivo per concretizzare la svolta verso le energie rinnovabili oppure diventerà l’alibi per un rilancio del carbone e del nucleare?
Sono le domande che Elisabetta Intini si pone in un interessante articolo pubblicato su Focus.it. “L’Europa – si ricorda nel testo – importa circa il 40% del suo fabbisogno di gas dalla Russia e nel 2021 il 26% di queste forniture è passato attraverso l’Ucraina, corridoio privilegiato del gas dalla Siberia alla UE. L’Italia è, tra i Paesi europei, quello che fa più ricorso al gas naturale come fonte energetica (è il 42,5% del mix energetico nazionale): molto più di Francia (17%) e Germania (26%), le quali possono però contare la prima sul nucleare, e la seconda sul carbone e su un parco di rinnovabili più avanzato del nostro”.
L’Italia consuma all’anno tra i 70 e gli 80 miliardi di metri cubi di gas metano, di cui più di un terzo è importato dalla Russia. “Per emanciparsi dal potere energetico russo e contrastare la crisi climatica c’è una sola, possibile soluzione nel lungo periodo – scrive la Intini -: ridurre l’utilizzo del gas naturale e realizzare la transizione verso le energie rinnovabili. Tuttavia nel breve periodo potremmo ritrovarci ancora a scendere a compromessi con fonti inquinanti. L’Europa si sta muovendo per aumentare l’acquisto di gas naturale liquefatto dai principali produttori che nel 2020 sono stati Stati Uniti, Qatar e Australia“.
Anche se arriva allo stato liquido, si tratta pur sempre di metano, con costi climatici non trascurabili. La Commissione Europea ha presentato un piano che, per ridurre di due terzi la dipendenza dal gas russo entro fine 2022, prevede di diversificare le forniture (importando più gas naturale liquefatto e producendo più biometano da scarti agricoli e industriali, e idrogeno rinnovabile) e di ridurre l’uso industriale e domestico di combustibili fossili grazie all’efficienza energetica e alle energie rinnovabili. “Dopo l’occasione mancata della pandemia – sottolinea l’articolo -, potrebbe essere questa la spinta giusta per rispettare il Green Deal, il piano per rendere l’Europa un continente a emissioni nette zero entro il 2050”.
Ma – aggiunge Elisabetta Intini – “non è detto che ci si riesca: secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (IEA), i costi stellari di gas e carbone potrebbero spingere a un riutilizzo delle centrali a carbone europee appena chiuse o destinate a chiusura, o a all’uso di combustibili fossili alternativi (come il petrolio) nelle centrali termoelettriche esistenti. Se così avvenisse potremmo dire addio ai +1,5 °C di riscaldamento che ci servono per evitare la catastrofe climatica”.
C’è infine da aggiungere che in Francia si parla di “rinascita dell’industria nucleare, con sei nuovi reattori da costruire e altri 8 allo studio, e Belgio e Germania, che avevano annunciato l’uscita dal nucleare, hanno fatto dietrofront rinviando lo spegnimento dei loro reattori”.
Antonio Felice