La Germania, che secondo i dati IFOAM sul mercato globale del bio, che è il primo mercato europeo in questo settore, non guarda più con così tanto interesse ai prodotti italiani. Una nota positiva emerge dal confronto a Biofach con gli operatori: già dalle prime settimane del 2023 il settore registra una ripresa e tra gli operatori presenti in fiera, si comincia a respirare dell’ottimismo.
Ne parliamo con Karen Mapusua, presidente mondiale di IFOAM, in un’intervista esclusiva per GreenPlanet a margine della presentazione del rapporto ‘The world of organic agricolture 2023’, pubblicato dall’Istituto di ricerca sull’agricoltura biologica FiBL e dallo stesso IFOAM – Organics International.
I dati del rapporto sono aggiornati al 2021 ma dalla visita tra gli stand e dal confronto con gli operatori italiani presenti, unitamente ai commenti di Mapusua, che, essendo al vertice di un’organizzazione internazionale, ha il polso globale del mercato, GreenPlanet ha provato a tracciare uno scenario più attuale che vede le produzioni italiane penalizzate sui tradizionali mercati di sbocco europei, ossia la Germania, in primis, e – in seconda battuta – la Francia.
L’inflazione e la crisi finanziaria globale non hanno risparmiato le famiglie tedesche e francesi. Anche per quelle più consapevoli sulla qualità dei prodotti acquistati, la leva prezzo è diventata il primo driver acquisto nelle scelte dei consumatori anche nel settore bio.
Il carrello, insomma, è gestito in maniera più parsimoniosa e una legislazione europea sul bio poco uniforme, nonostante l’ombrello del Regolamento europeo n.848 in vigore dal primo gennaio 2022, che ha lasciato irrisolta la grande questione di una definizione precisa di sostenibilità oltre che, dall’altra parte della medaglia, quella di greenwashing, apre le porte dei mercati europei più importanti, come quello tedesco, appunto, a nuovi player e a nuove produzioni, magari dall’est europeo.
Dopo un 2021 in cui si è registrato una crescita del mercato bio che ha sfiorato i 125 miliardi di dollari su scala globale, il 2022 viene definito dagli operatori come un ‘annus horribilis’ con una generalizzata contrazione dei consumi bio e un’erosione dei margini dei produttori non solo per la bolla impazzita dei costi delle materie prime ma anche per l’ingresso dei discount nella distribuzione e l’ampliamento dell’assortimento della PL anche nei supermercati, con la conseguente impietosa corsa al ribasso dei prezzi.
I primi tre mercati in cui il rapporto sull’agricoltura bio globale, registra il principale trend di crescita sono, rispettivamente, l’Estonia (+21%); il Lussemburgo (+15,3%) ed il Canada (+11%) e le top tre commodities bio importate in UE e USA sono, rispettivamente, le banane (circa 1,3 milioni di tonnellate metriche); la soia (circa 354mila tonnellate metriche) e zucchero (circa 342mila tonnellate metriche).
– Presidente Mapusua, nelle prime settimane del 2023 i trend di rallentamento registrati in tutto il mondo sembrano invertirsi. Qual è la sua impressione?
“È un po’ difficile adesso avere dei dati certi – ci spiega a margine della conferenza di presentazione del rapporto – perché noi non lavoriamo dati in tempo reale. Tuttavia, possiamo parlare di trend generali. In questo senso stiamo constatando che il problema principale è la crisi finanziaria che sta impattando in alcune parti del mondo, e probabilmente l’Europa è tra le più colpite soprattutto guardando l’andamento dei consumi. Bisogna precisare, però, che, tradizionalmente, siamo un settore molto resiliente. Oggi si assiste ad alcuni segni di ripresa. Basti guardare all’andamento del mercato ucraino, al centro della crisi. In questo Paese, si sta registrando un aumento del 30% dell’import dei prodotti bio negli ultimi due mesi. Questo è un elemento confortante che dimostra, ancora una volta, la resilienza del settore bio. Ciò, ovviamente, non toglie, che siamo in una situazione finanziaria estremamente difficile ma, anche dalle chiacchiere con gli operatori in fiera, le aspettative sono quelle di una ripresa data come certa e imminente e le previsioni, in questo senso, sembrano buone”.
– Il mercato UE si sta ridisegnando sia dal punto di vista della produzione che da quello della distribuzione. Cosa avverte dal suo osservatorio privilegiato?
“Si, le cose stanno cambiando e probabilmente è il risultato della pressione finanziaria. Penso che nessuno sapesse cosa sarebbe accaduto quando siamo usciti dal Covid che unito alla guerra in Ucraina, ha generato una tempesta perfetta anche per il settore bio che ne è tuttora colpito. Non sappiamo né possiamo prevedere quanto tempo servirà per uscirne fuori. Tuttavia, dai confronti e dai dibattiti che ho avuto in questi giorni a Norimberga con gli stakeholder globali, ho notato un certo ottimismo emergente che deriva dalla forte aspettativa e desiderio di venirne fuori. Magari non nel corso di quest’anno, ma nei prossimi due anni ci si aspetta che il settore riprenda a crescere”.
– Quanto incide il deprezzamento dell’euro sul dollaro nel mercato dei prodotti bio dell’Unione?
“Penso che sia un elemento determinante che influenzerà l’andamento degli scambi commerciali di tutto quest’anno. Un elemento che non ci aspettavamo soprattutto dopo i colpi che l’economia ha accusato con il Covid e con la guerra in Ucraina. E creerà degli impatti non solo in Europa ma anche in altre parti del mondo dove sta per riflettersi quello che è già in atto nell’Unione”.
– Assistiamo all’impennata dell’inflazione e alle famiglie che cercano cibo, anche bio, a prezzi sempre più accessibili. I discount sono entrati nella distribuzione del prodotto certificato. Cosa ne pensa?
“Penso che sia una cosa apprezzabile finché l’agricoltore biologico riesce a fare una vita dignitosa con un’attività che gli garantisca la giusta redditività. La vera sfida dell’agricoltura in generale ed, in particolare, di quella bio, è di far partecipare anche gli agricoltori ai benefici della produzione, che devono essere prima di tutto economici, non fosse altro che per il loro duro lavoro. Finché i costi saranno coperti, si avrà un commercio che rispetta regole fair lungo una catena di fornitura che punta a fare arrivare sulle tavole prodotti sani”.
– Spesso, i prezzi applicati nei canali discount, che sono per definizione i più bassi del mercato, non garantiscono la copertura dei costi dei produttori. Sono fatti notori i contratti capestro e le aste al doppio ribasso usati come pratiche ordinarie e non eccezioni. Quali sono le conseguenze in termini di fattore deterrente per il canale bio?
“È di tutta evidenza che il canale dei discount non funziona per tutti”.
– Come commenta le vendite sottocosto che subiscono anche i produttori bio?
“Che può succedere sul mercato perché sono meccanismi che fanno parte del mercato”.
– Non sono contrarie ai principi del bio?
“Il movimento del bio non controlla il mercato, noi controlliamo i nostri principi. Non controlliamo le politiche e le scelte legislative degli Stati. Possiamo sono chiedere che vengano tenuti in considerazione i principi del bio”.
– Oltre alla comunicazione che crea consapevolezza e conoscenza nel consumatore sui valori del bio, quali sono gli strumenti su cui puntare per contrastare le pratiche commerciali sleali anche in questo settore che, forse, è più vulnerabile?
“L’unica risposta è una regolamentazione che oltre ad essere approvata deve anche essere messa in pratica per proteggere i produttori. È complesso, ma deve essere inquadrata nell’ambito delle politiche dei governi anche in termini di educazione del consumatore”.
– Come sta cambiando il mercato del bio in Europa, quali scenari si stanno ridisegnando in conseguenza alla crisi economica?
“È difficile rispondere a questa domanda in un quadro globale perché la ricerca di prodotti meno costosi fa fa parte del mercato e del modo con cui noi ci siamo sempre approvvigionati di beni. Il mercato continuerà a cambiare ma è normale che la gente cerchi prodotti al prezzo più conveniente. È vero, però, che oggi il consumatore chiede anche diversificazione e regole più chiare ed accessibili”.
– Pensa che ci sia bisogno di una maggiore uniformità nella regolamentazione commerciale non solo negli scambi con i Paesi terzi ma anche all’interno di quelli dell’Unione?
“L’uniformità aiuta a suo modo, senza dubbio, perché, guardando dal punto di vista di un produttore che esporta, ad esempio, verso tre Paesi diversi, oggi deve adattarsi a tre tipi di normative diverse. Aiuterebbe molto armonizzare le regolamentazioni”.
– Stiamo assistendo ad una muta di pelle del movimento bio nel passaggio verso le economie di scala? Come si adatta il comparto bio che nasce come movimento di nicchia?
“In questo senso penso che parlare di regole e di leggi sia solo una parte di questa fase che sta vivendo il movimento bio. C’è da considerare un nocciolo molto profondo che è meno preoccupato delle regole e maggiormente interessato ai principi che sottendono al movimento bio. Principi che permettono di produrre cibo sano e di preservare, allo stesso tempo, il pianeta. Non è un caso che non tutti i player siano esportatori. Molti operatori, infatti, sono mossi dal desiderio semplicemente di produrre in maniera sostenibile e di perseguire gli obiettivi di food safety e di sostenibilità”.
Mariangela Latella
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