In difficoltà in America la zootecnia ‘organic’

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Il Wall Street Journal ha dedicato recentemente una pagina alle difficoltà della zootecnia biologica negli Stati Uniti, dal titolo ‘Organic-Food Chain Grapples with Gap’ (la catena alimentare biologica appesa ad un filo). L’articolo è interessante perché fa riflettere sulla situazione esistente in Europa e in Italia, che non è poi molto diversa.

L’autore, Mark Peters, sottolinea come la domanda americana di prodotti biologici derivati dal latte non è soddisfatta a causa dell’impossibilità di reperire negli States mangimi biologici destinati alle mucche da latte in quantità sufficiente malgrado gli USA siano i primi produttori al mondo di grano e semi di soia che sono la base dell’alimentazione animale necessaria a produrre latte e carne. Per questo motivo in un solo anno, dal 2011 al 2012, le importazioni in America di semi di soia biologici dalla Cina e dall’India sono raddoppiate e potrebbero superare quest’anno il valore di 100 milioni di dollari.

I costi per gli allevatori americani sono a volte proibitivi. Alcuni sono riusciti a comperare o ad affittare nuovi ettari da destinare a grano e soia biologici, altri non ce l’hanno fatta e sono tornati ai pesticidi e ai fertilizzanti e in definitiva alla produzione convenzionale. ‘Siamo in difficoltà. Produrre bio ci costa sempre di più e questo poi si ripercuote negativamente sui prezzi al consumo’ ha detto George Siemon, dirigente di Organic Valley, la più importante cooperativa di coltivatori biologici degli Stati Uniti. Ma i consumi crescono.

Secondo la Organic Trade Association, citata da Peters, le vendite di cibi biologici in America sono cresciute del 35% negli ultimi cinque anni (tre volte di più del settore alimentare nel suo complesso) raggiungendo un valore di 29 miliardi di dollari. L’articolo fa la storia di un allevatore biologico del Wisconsin che vorrebbe incrementare la propria produzione ma non ce la fa perché i terreni da convertire a bio (la transizione dura tre anni) sono troppo cari e i mangimi che debbono essere comperati all’estero sono un costo non indifferente oltre ad avere l’impatto ambientale di un prodotto che ha fatto decine di migliaia di chilometri.

I distributori, a partire da quelli degli hot dogs, sono preoccupati: vorrebbero un biologico alla portata di tutte le tasche. Già, perché anche per gli organic hot dogs la domanda potenziale in USA è estremamente elevata. (a.f.)

 

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