I finanziamenti pubblici penalizzano l’agricoltura bio

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L’agricoltura biologica copre il 15% della superficie agricola in Italia e riceve meno del 3% dei finanziamenti europei e nazionali. La politica agricola comunitaria sovvenziona per il 97,7% l’agricoltura convenzionale. Uno squilibrio inaccettabile anche perché il biologico è sano per l’ambiente e la salute umana e il convenzionale usa pesticidi, diserbanti e fertilizzanti di sintesi che inquinano i campi.

La denuncia è partita dal SANA, che ha chiuso i battenti ieri, lunedì 10 settembre, in occasione del primo rapporto ‘Cambia la Terra’, presentato da Maria Grazia Mammuccini, responsabile del progetto Cambia la Terra- FederBio, presenti all’evento la vicepresidente della Commissione Agricoltura della Camera Susanna Cenni, il direttore di Legambiente Giorgio Zampetti, il responsabile Agricoltura WWF Franco Ferroni, il presidente LIPU Fulvio Mamone Capria, il ricercatore ISPRTA Lorenzo Ciccarese, e Patrizia Gentilini dell’International Society of Doctors for Environment (Associazione Medici per l’Ambiente).

Le risorse dedicate all’agricoltura biologica, si evince dal Rapporto, sono inferiori alla media che spetterebbe al settore in base alla Superficie agricola utilizzata. Per i dati elaborati dall’Ufficio Studi della Camera dei Deputati, su 41,5 miliardi di euro destinati all’Italia, all’agricoltura biologica vanno appena 963 milioni di euro.

Se ai dati dei fondi europei si aggiunge il cofinanziamento nazionale per l’agricoltura, pari a circa 21 miliardi, il risultato rimane praticamente invariato: su un totale di fondi europei e italiani di circa 62,5 miliardi, la parte che va al biologico è di 1,8 miliardi, il 2,9% delle risorse.

Come a dire che ‘gli italiani e gli europei in generale pagano per sostenere pratiche agricole che alla fine si ritorcono contro l’ambiente e contro la loro salute, a partire da quella degli agricoltori stessi’, ha denunciato Mammuccini, aggiungendo che “non è il modello agricolo ad alto impatto ambientale a farsi carico della tutela degli ecosistemi con cui interagisce, ma sono gli operatori del biologico a sopportare i costi prodotti dall’inquinamento causato dalla chimica di sintesi”.

Cioè il costo della certificazione, quello della burocrazia (più alto che per gli agricoltori convenzionali), quello della maggiore quantità di lavoro, quello della fascia di rispetto tra campi convenzionali e campi biologici. Solo per la certificazione, si parla di 2.790 euro in caso di prima notifica, mentre per il mantenimento annuale il costo è di poco inferiore ai 1.000 euro, se si prende in esame una azienda biologica media, con una dimensione di circa 28 ettari. A questo si aggiunge la maggior incidenza del costo del lavoro nei campi bio: vale il 30% in più che nell’agricoltura convenzionale.

In cambio gli operatori subiscono ‘una sostanziale penalizzazione a livello di incentivi’. Dall’altra parte, l’impatto economico dell’inquinamento da pesticidi è ormai documentato da una serie di studi e ricerche internazionali. Una ricerca statunitense ha valutato già nel 2005 in circa 10 miliardi di dollari l’anno nei soli Stati Uniti i costi derivati dall’uso dei pesticidi, tra spese sanitarie, perdita di produttività, perdita di biodiversità, costi per il disinquinamento del suolo e delle acque.

Le stime dell’Organizzazione mondiale della Sanità – si legge nel Rapporto – contano oltre 26 milioni di casi di avvelenamento da pesticidi all’anno e 258.000 decessi. Circa 71.232 persone ogni giorno (gli abitanti di una città come Pavia) restano intossicate in maniera acuta dai pesticidi e 706 persone muoiono.  

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