La crescita del canale GDO durante la pandemia, nel settore delle carni Bio, ha compensato la perdita del canale Horeca subita soprattutto durante il primo lockdown, e Fileni, terzo player nazionale nel settore delle carni avicole e primo produttore in Italia di carni bianche da agricoltura biologica, chiude il 2020 con il segno positivo (+ 15% circa). Un trend che ci conferma anche nel 2021 quando, a giugno, l’azienda ha già superato il +13% del fatturato rispetto al periodo precedente.
“La pandemia ci ha fatto perdere terreno sui canali di destinazione dei piatti pronti come le mense per via della chiusura del canale Horeca – ci ha spiegato Simone Santini, chief commercial officer dell’azienda marchigiana -, ma con Fileni Bio brand abbiamo compensato su tutti gli altri canali. Uno degli effetti di questa pandemia, infatti, è che il consumatore ha raggiunto una maggiore consapevolezza sulla propria alimentazione ed è sempre più orientato verso prodotti di qualità”.
Il vantaggio di Fileni Bio è quello di avere il controllo di tutta la filiera, a partire dai terreni per arrivare ai mangimi. In questa direzione è già stata attivata da tre anni, ad esempio, su richiesta di Carrefour Italia di cui l’azienda marchigiana è fornitrice, un sistema di certificazione blockchain per i prodotti avicoli, tra cui petti di pollo, cosce di pollo, ed altri, per la linea ‘Filiera di qualità’ della nota insegna francese.
Intanto Fileni Bio sta guardando con interesse al settore delle cosiddette (impropriamente) ‘carni vegetali’.
“Guardiamo sempre con molto interesse – dice Santini – quello che tocca da vicino il nostro mercato. In questo specifico caso osserviamo questo nuovo fenomeno con interesse e rispetto, avendo bene in mente che l’emissione di CO2 legata agli allevamenti, non riguarda tanto il settore delle carni bianche, in cui operiamo, quanto quello delle carni rosse. Dal canto nostro noi siamo sempre stati orientati verso un metodo di allevamento virtuoso ed oggi entrambi i nostri impianti, quello di Macerata e quello di Ancona, sono certificati Carbon Neutral. Da due, tre mesi, inoltre, siamo diventati una società Benefit, ossia che non pensa solo a generare profitto ma anche a promuovere i territori e il benessere delle persone. Contemporaneamente stiamo lavorando per ottenere la certificazione B Corp! Queste per noi, non sono strategie di marketing ma rappresentano i nostri valori fondanti”.
Un mese fa, l’azienda ha lanciato ufficialmente il proprio ‘Manifesto della sostenibilità’, una dichiarazione di intenti che pone l’attenzione, ad esempio, sulla rigenerazione della terra o sul benessere animale.
In aumento l’uso di energie rinnovabili e di packaging sempre più sostenibili sui quali sono in corso investimenti importanti per portare tutta la linea dei prodotti Bio ad avere confezioni in carta riciclabile.
“Il punto è che vorremmo che il Bio diventi parte integrante dell’alimentazione – precisa Santini – anche se il timore è che, come per tutte le attività virtuose, una volta sdoganato il Bio, per le colpe di pochi possano andarci di mezzo tutti. Per quanto riguarda gli obiettivi europei della strategia F2F del New Green Deal, non penso che possa essere così semplice, per lo meno nel settore zootecnico, procedere a conversioni massive al Bio. Gli allevamenti certificati infatti, hanno bisogno di spazi maggiori dato che ogni capo ha bisogno di circa 4 mq e poi il terreno su cui insiste, deve essere certificato Bio da almeno due anni”.
In questo senso, il dubbio dei player bio è che potrebbe essere difficile, nella nuova era verde europea ridurre i costi di produzioni biologiche anche perché la filiera è complessa e ha molti costi, superiori anche più del doppio a quelli sostenuti per produrre vegetali Bio. Tutto questo a fronte del cambio climatico che, ad esempio, con l’aumento delle temperature, determina capi con pesi più leggeri e rende quindi necessario allungare il periodo di allevamento.
“Non ci si può improvvisare in questo settore – chiosa Santini – lo si fa solo se ci si crede veramente”.
Mariangela Latella