L’export è un mercato fondamentale per il pollo biologico a marchio Fileni e anche per questo l’azienda era presente quest’anno a Biofach.
“Veniamo da un anno molto positivo – spiega Andrea Pascucci, export manager di Fileni – per quanto riguarda l’export: siamo passati da 46 a 56 milioni di euro di fatturato, che oggi rappresenta circa il 10% del giro d’affari complessivo dell’azienda. La carne di pollo non può essere esportata in tutto il mondo, a causa barriere all’ingresso in alcuni Paesi, il nostro mercato e è l’Europa con il prodotto fresco e surgelato, poi abbiamo qualcosa in Africa, mentre in Asia solo Hong Kong è accessibile. In particolare, la Germania rappresenta poco meno del 50% del fatturato complessivo dell’export. Resta un mercato molto importante, nonostante la leggera flessione a seguito dello scoppio della guerra in Ucraina. Da qualche mese però notiamo una ripresa per quanto riguarda la richiesta di biologico, in Germania e in tutto il Nord Europa mentre i Paesi mediterranei soffrono ancora. Ora siamo in una fase di rimodulazione della produzione, per venire incontro a questo aumento delle richieste”.
All’estero Fileni adotta una strategia multicanale, che prevede la grande distribuzione, l’industria, il food service. “Ci fa ben sperare la ripartenza della grande distribuzione – afferma – mentre c’era stata una leggera flessione a metà dello scorso anno. Questo smuoverà anche il canale industria a fronte dell’aumento dei consumi nel retail. Quanto ai prodotti, all’estero vanno soprattutto quelli di seconda lavorazione, come petto o coscia, meno gli elaborati a maggior contenuto di servizio. Nei confronti del pollo biologico, il consumatore estero è tradizionalista, cerca il prodotto da preparare a casa, mentre quello italiano vuole qualcosa più facile da gestire”.
In generale, secondo Pascucci, per il pollame biologico le prospettive sono positive per i prossimi due o tre anni. “Questa carne – sottolinea – è ben accettata sia dal punto di vista nutrizionale sia quello religioso. La Brexit è stato un problema perché il mercato UK è interessante, ma ora richiede un certificato molto dettagliato con prescrizioni severe nei confronti dell’influenza aviaria, che rende il Paese poco accessibile per il prodotto fresco”.
Elena Consonni