Falso bio: inchiesta con arresti a Cagliari

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Ancora uno scandalo, ancora arresti. I manovratori del falso biologico, gli approfittatori, spuntano fuori da tutte le parti. E per fortuna che saltano fuori. Occorre fare piazza pulita, altrimenti a saltare sarà il biologico, perché nel mercato la credibilità è tutto.

Fatture false per 135 milioni, sedici arresti, quattro in carcere e dodici ai domiciliari, otto provvedimenti di interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese, sono stati eseguiti tra il 6 e il 7 giugno dalla Guardia di Finanza di Cagliari nei confronti di altrettanti appartenenti ad un sodalizio criminoso implicato in un vasto giro di false certificazioni bio e di fatture per operazioni inesistenti, in collaborazione con altri Reparti del Corpo del Lazio, delle Marche, dell’Emilia-Romagna, del Veneto e della Puglia.

I provvedimenti sono stati emessi, su richiesta del sostituto procuratore della Repubblica di Cagliari, Paolo De Angelis, dal gip Giampaolo Casula, dopo gli accertamenti del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Cagliari.

Le indagini hanno preso il via da una verifica fiscale condotta nei confronti di un’azienda di Capoterra (Ca), che opera nel settore dell’intermediazione di prodotti cerealicoli derivanti da agricoltura biologica ed hanno consentito di individuare e delineare un’associazione a delinquere capace di ”sfornare” un giro di fatture false per oltre 135 milioni di euro.

L’organizzazione aveva architettato un sistema di frode basato sulla costituzione, in varie regioni italiane, di numerose società fantasma, con al vertice un’azienda sarda, amministrata da un prestanome ultrasettantenne di Imola occasionalmente residente a Capoterra, che a fronte di un consistente giro d’affari, si dimostrava sin da subito una ‘scatola vuota’ priva di una idonea struttura e organizzazione aziendale, di dipendenti, locali e mezzi.

Lo scopo era quello di realizzare, attraverso la creazione di certificazioni e di documenti fiscali falsi, ottenuti da una serie di vere e proprie ‘scatole cinesi’ posizionate lungo tutta la filiera del biologico, un redditizio business illecito, piazzando sul mercato nazionale ed europeo, a prezzi elevati, prodotti in realtà non biologici e lucrando sulla notevole differenza di prezzo esistente tra i prodotti bio e quelli convenzionali.

Il meccanismo e’ stato messo a punto sfruttando punti critici nei meccanismi di certificazione, con l’inconsapevole contributo degli enti di certificazione e, in alcuni casi, con la collaborazione di loro funzionari infedeli ed ha consentito di moltiplicare, attraverso vari passaggi di vendite e acquisti fittizi, il volume virtuale di prodotto biologico disponibile affinche’ potesse essere sostituito da prodotto ordinario, non classificabile come ”bio”, con conseguente aumento non giustificabile del prezzo di vendita ed incremento esponenziale dei ricavi illeciti.

In relazione alla notizia, FederBio, commenta attraverso la dichiarazione del presidente Paolo Carnemolla: ‘FederBio plaude l’operato della magistratura di Cagliari e della Guardia di Finanza che ribadisce e amplia le risultanze delle indagini già avviate dalla Procura e dalla Guardia di Finanza di Verona con alcune condanne già passate in giudicato per alcuni personaggi e un processo ancora in corso che vede come unica parte civile ammessa FederBio.

I fatti illeciti sono noti ormai dal 2011 dunque le aziende, i prodotti e le persone coinvolte sono da tempo state allontanate e perseguite anche in altri ambiti. Anche in questo caso FederBio si costituirà parte civile, a tutela e a risarcimento dei danni subiti dal settore biologico nazionale. Sui medesimi fatti e personaggi stanno ancora indagando anche le Procure di Bologna e Pesaro per cui attendiamo anche in questo caso la conferma delle ipotesi accusatorie e ulteriori iniziative contro una banda di criminali nota da tempo’.

 

 

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