Le radici del problema: una normativa pensata per gli OGM degli anni ’90
La storia che ha condotto alla regolazione europea delle Tecniche di Evoluzione Assistita (TEA) – note in Europa come New Genomic Techniques (NGT) – affonda le sue radici nella normativa costruita negli anni Novanta per gli organismi geneticamente modificati.
L’Unione Europea aveva infatti sviluppato, a partire da quel periodo, un quadro legislativo molto dettagliato che si è consolidato con la Direttiva 2001/18/CE, pensata per gestire le biotecnologie dell’epoca. Tale direttiva definiva gli OGM in modo molto ampio, includendo qualunque modifica genetica non ottenibile attraverso processi naturali. All’epoca questa impostazione appariva adeguata, ma l’avvento di tecniche come l’editing genetico e la mutagenesi mirata ha progressivamente mostrato i limiti di tale definizione. Queste nuove metodologie, nate ben dopo l’approvazione della Direttiva del 2001, permettevano infatti interventi estremamente precisi, spesso indistinguibili dalle mutazioni spontanee. Una serie di valutazioni scientifiche, tra cui quelle dell’EFSA, hanno evidenziato che molte di queste modifiche risultavano perfettamente sovrapponibili a quelle ottenute tramite miglioramento genetico convenzionale. Parallelamente, diversi studi giuridici sottolineavano come la normativa vigente non fosse più adeguata a disciplinare tecniche così diverse dagli OGM tradizionali. Da qui è maturata l’esigenza di aggiornare il quadro regolatorio.
2023: la Commissione Europea apre ufficialmente il dossier NGT
Consapevole di questo scarto crescente tra progresso scientifico e legislazione, la Commissione Europea ha presentato il 5 luglio 2023 una proposta di regolamento interamente dedicata alle NGT. L’intento era quello di superare il sistema binario che accomunava indistintamente tutte le modifiche genetiche e di introdurre criteri più raffinati e proporzionati. L’architettura della proposta si basava su una distinzione tra piante che presentavano modifiche comparabili a quelle ottenibili naturalmente o tramite tecniche tradizionali e piante che invece incorporavano modifiche più complesse. Questa impostazione ha rappresentato una prima, significativa rivoluzione concettuale, riconoscendo per la prima volta che non tutte le nuove tecniche di miglioramento genetico presentano gli stessi rischi o le stesse implicazioni normative.
2024: il Parlamento Europeo approva la sua posizione
Il dossier ha poi raggiunto il Parlamento Europeo, dove il dibattito è stato lungo e articolato. Il voto dell’8 febbraio 2024 ha sancito l’approvazione della posizione parlamentare, pur in un clima di forte divisione politica che rifletteva la complessità del tema. I sostenitori dell’apertura regolatoria ritenevano che le TEA fossero strumenti indispensabili per affrontare sfide cruciali come la resilienza climatica, la riduzione dell’uso di input chimici e la competitività dell’agricoltura europea. I critici, invece, manifestavano preoccupazioni riguardo alla conservazione della biodiversità, alla trasparenza verso i consumatori e alla possibile erosione dei diritti delle filiere biologiche. Il voto ha comunque rappresentato un passaggio decisivo per avviare la fase successiva dei negoziati con gli Stati membri.
2024–2025: il confronto tra Stati membri e la difficoltà di trovare un consenso
Nel Consiglio dell’Unione Europea, dove siedono i governi nazionali, il testo ha affrontato un percorso ancora più accidentato. Le posizioni degli Stati membri erano molto eterogenee: alcuni Paesi consideravano urgente dotarsi di una normativa moderna capace di sostenere l’innovazione e contrastare la concorrenza internazionale, mentre altri chiedevano garanzie più stringenti sull’etichettatura, sulla tracciabilità e sulla coesistenza tra diverse forme di agricoltura. Nonostante queste difficoltà, a marzo 2025 il Consiglio è riuscito ad adottare un mandato negoziale, un passo indispensabile per avviare il trilogo con Parlamento e Commissione. Tuttavia, a giugno, il processo si è nuovamente bloccato: il Parlamento ha deciso di sospendere i negoziati, temendo che il compromesso in discussione potesse risultare troppo sbilanciato e che si rischiasse, come dichiarato da alcuni eurodeputati, un “accordo al ribasso”. È stato un momento di forte incertezza, che ha fatto dubitare della possibilità di raggiungere un’intesa entro la fine della legislatura.
L’autunno 2025: pressioni politiche, scientifiche e agricole
Nella seconda metà del 2025, però, il clima politico ha iniziato a cambiare. Le pressioni provenivano da diversi fronti: il mondo agricolo chiedeva strumenti più efficaci per contrastare gli effetti sempre più visibili del cambiamento climatico e per mantenere competitività sui mercati globali; la comunità scientifica ricordava che altri Paesi, come Stati Uniti, Regno Unito e Giappone, avevano già adottato regolamentazioni più moderne e favorevoli all’innovazione; alcuni Parlamenti nazionali, tra cui quello italiano, sollecitavano apertamente le istituzioni europee ad accelerare. Questa convergenza di richieste ha contribuito a sbloccare il negoziato e a riportare il dossier al tavolo del trilogo.
Dicembre 2025: l’accordo politico provvisorio UE
Nella notte tra il 3 e il 4 dicembre 2025 è stato finalmente raggiunto un accordo politico provvisorio tra Parlamento, Consiglio e Commissione. Il compromesso riprende l’impostazione originaria della Commissione e sancisce la distinzione tra piante ottenute con tecniche assimilabili a processi naturali o convenzionali e piante che incorporano modifiche più complesse. Le prime potranno essere sottoposte a una procedura di verifica iniziale e, qualora soddisfino i criteri previsti, non saranno trattate come OGM nel senso tradizionale. Le seconde, invece, continueranno a essere disciplinate dal rigido quadro previsto per gli organismi geneticamente modificati, con obblighi completi di autorizzazione, tracciabilità ed etichettatura. Una parte importante dell’accordo riguarda anche il tema della proprietà intellettuale, con la previsione di un gruppo di esperti incaricato di definire entro diciotto mesi un codice di condotta sulle pratiche brevettuali. Nel complesso, l’intesa è stata accolta dal mondo agricolo come un momento storico, poiché rappresenta un potenziale salto di qualità nella capacità dell’Unione di sostenere l’innovazione biotecnologica e di fornire agli agricoltori strumenti adeguati alle nuove sfide ambientali (vedi news), sebbene il mondo del Bio sia ancora del tutto contrario (vedi news).
Sfide future
Nonostante il traguardo raggiunto, restano aperti diversi interrogativi. Il tema dei brevetti continua a suscitare dibattito, poiché potrebbe incidere sulla disponibilità delle sementi e sulla distribuzione del potere nel settore agricolo. Anche la coesistenza con l’agricoltura biologica rimane un nodo sensibile, così come la possibilità per alcuni Stati membri di introdurre restrizioni nazionali, che potrebbe generare un’Europa a più velocità. Inoltre, persiste la questione dell’accettazione pubblica: la regolamentazione, per quanto tecnicamente robusta, dovrà essere accompagnata da trasparenza e comunicazione adeguate per evitare fraintendimenti e diffidenze. L’accordo del dicembre 2025 segna dunque un passaggio fondamentale ma non conclude il percorso: apre invece una fase nuova, in cui l’Unione dovrà dimostrare di saper applicare e governare una normativa che cambia il rapporto tra innovazione genetica e politica agricola europea.
La Redazione












