Corea del Sud, un Paese piccolo, ma promettente per il mercato bio italiano

Corea del Sud

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Nonostante sia piccolo, quello della Corea del Sud è un mercato a cui guardare con interesse. Nel 2022 ha totalizzato 485 milioni di euro di vendite, il peso del bio sul totale alimentare è del 2,4% e la spesa pro-capite ammonta a 9,3 euro/anno. Sono numeri limitati, rispetto ad altri mercati, eppure a questo Paese è stato dedicato l’ultimo convegno sull’internazionalizzazione del Bio Made in Italia, organizzato da ITA.BIO, con il supporto di Nomisma. 

“Quello che è interessante – ha spiegato Silvia Zucconi, CEO di Nomisma – è la forte crescita: +47% delle vendite dal 2017 al 2022; la spesa pro-capite è salita del 33%.  Ci sono ampie potenzialità anche perché il consumatore coreano è particolarmente attento ai prodotti salutistici. Questo carrello ha un valore di 4,6 miliardi di euro e ci rientra anche il bio, che quindi crediamo abbia ottime opportunità”.

Inoltre, il 41% dei consumatori si dichiara intenzionato ad aumentarne il consumo di prodotti bio italiani nei prossimi 2-3 anni.

Per il 24% dei coreani, il benessere/sostenibilità è uno dei principali criteri di scelta (anche se il primo è il prezzo, per il 40%). Nell’ambito dell’area benessere, il biologico ha un peso del 5% come prima scelta. “Anche se il prezzo è un tema importante – ha sottolineato Zucconi – il 53% dei coreani è disposto a pagare di più per acquistare prodotti alimentari che fanno bene alla salute”.

Anche la penetrazione del biologico è relativamente bassa rispetto ad altri Paesi: gli user consapevoli sono pari al 40%; il restante 60% lo acquista in maniera sporadica o inconsapevole. Il dato interessante, però, è che la metà di quel 40% è rappresentata da consumatori abituali.

Tra le categorie, l’opzione bio è la prima scelta anzitutto per il baby food (40%), segue l’area del fresco: frutta e verdura, uova, latte e formaggi… “Anche prodotti tipici del made in Italy, come olio extravergine di oliva, pasta e riso – ha proseguito – mostrano buone quote di preferenza. In questi ambiti l’Italia può recuperare mercato. Se, infatti, il 50% dei coreani è soddisfatto dell’offerta di prodotti alimentari bio che trova nei supermercati, resta un margine di consumatori non pienamente soddisfatto, un’area di azione importante per le aziende italiane”.

Infatti, pur essendo l’Italia solo al 15° posto tra i Paesi da cui la Corea del Sud importa alimenti e bevande, il nostro Paese gode di una buona percezione, correlata ai valori di cultura e tradizione, ma anche di benessere e salute. “Infatti – spiega Evita Gandini, Responsabile Market Insight di Nomisma – l’Italia è al terzo posto per quanto riguarda la considerazione di prodotti alimentari, dopo Paesi molto importanti per l’import coreano, come USA e New Zelanda. La considerazione è migliore nella Gen Z e tra coloro che hanno uno stile di vita orientato all’internazionalizzazione”.

In Corea del Sud 2 famiglie su 10 hanno acquistato almeno una volta un prodotto bio italiano nell’ultimo anno, sono soprattutto coppie con figli, persone che sono state in Italia negli ultimi 2/3 anni e i più giovani.

Tra i prodotti bio italiani più consumati spicca il formaggio (è la categoria più esportata in questo Paese), seguito da olio/aceto balsamico, conserve e pasta.

Le indagini condotte da Nomisma hanno dimostrato che c’è soddisfazione sulla qualità dei prodotti bio italiani e sulla varietà dei prodotti che si trovano nei ristoranti, ma che potrebbe aumentare il numero di referenze nei supermercati. Ci vorrebbe maggiore visibilità sugli scaffali e il prezzo è forse l’aspetto che soddisfa meno.

“Il consumatore coreano – conclude Gandini – ha bisogno di maggiori informazioni sulla differenza tra prodotto bio e convenzionale, sulla sostenibilità, sulla tracciabilità, sui controlli, sui benefici per la salute. Leve da attivare potrebbero essere gli assaggi nei supermercati e nei ristoranti, la presenza nei canali online, i cooking show e l’uso di influencer, come chef e esperti”.

Elena Consonni

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