Il ruolo dell’Italia nel comparto del bio sul piano internazionale è indiscutibile: con un fatturato dell’export di oltre 2,6 milioni di euro nel 2019 (+8% sul 2018) – trend che sembra confermarsi anche per l’anno in corso – il Bel Paese è il secondo esportatore al mondo, dopo gli Stati Uniti, di prodotti biologici freschi e trasformati. Della rilevanza del nostro Paese sul piano internazionale, dei flussi in entrata e in uscita, nonché delle criticità di un settore che in 10 anni ha registrato una crescita di oltre il 70% si è parlato questa mattina durante un incontro online organizzato da CCPB nell’ambito del B/Open di Veronafiere e moderato da Antonio Boschetti, direttore dell’Informatore Agrario.
Di import ha parlato Luca Romanini del Mipaaf: “L’importazione di prodotti bio dell’Italia da Paesi Extra UE si attesta ormai da tre anni attorno a 160mila tonnellate. Un’evidenza chiara, che emerge dalle puntuali analisi del Mipaaf, riguarda la diversificazione degli acquisti in base alla provenienza. È così che i cereali bio arrivano principalmente dal Pakistan, la frutta dall’Ecuador, gli ortaggi dall’Egitto, il cacao dalla Repubblica Domenicana, il caffè dall’Honduras e i semi oleosi dall’Ucraina, con eccezione per la colza, proveniente in gran parte dal Togo, e dei semi di lino dall’Egitto. Se per lo zucchero biologico i volumi di import sono spalmati tra India e Colombia, per l’olio extravergine bio persiste un monopolio della Tunisia”.
La mancanza di rilevazioni altrettanto puntuali in termini di export è stata rilevata dal professor Raffaele Zanoli, del Politecnico delle Marche, intervenuto ai lavori per presentare un’analisi delle esportazioni del nostro Paese “realizzata grazie ad un modello di imputazione multipla, che basandosi su stime, per quanto precise, non garantisce di poter fare ragionamenti rispetto alle cause delle eventuali oscillazioni dei flussi e prendere così le opportune contromisure a vantaggio dei player del sistema”.
Mancanza di dati certi e di progetti organici di ricerca sembrano essere due fattori di criticità importanti con cui il comparto del bio deve fare i conti. “Da parte del Mipaaf c’è la massima disponibilità a incrementare le risorse destinate alla ricerca per sostenere iniziative sinergiche a sostegno del comparto. La ricerca nel bio non è fine al settore ma è un’opportunità importante per tutta l’agricoltura”, ha assicurato Giacomo Mocciaro del Mipaaf.
Alessandro Torresi di Conserve Italia è intervenuto sottolineando l’importanza dell’esportazione di prodotto bio per i soci produttori: “Ad oggi per noi il bio non è più una nicchia. Sono più di 300 le referenze esportate in oltre 30 Paesi, in grado di garantire un certo reddito ai nostri soci anche in Paesi come Francia e Germania in cui la forza contrattuale della GDO talvolta diventa davvero pressante per i prodotti convenzionali”.
Del rischio che corre il biologico di essere sostituito da “prodotti sostenibili”, sempre più in voga, ha parlato il presidente di Alce Nero Massimo Monti: “La possibilità c’è ed è concreta. Penso però che sia diversa in base al tipo di prodotto che viene commercializzato, ovvero se si tratta di materia prima, prodotti PL oppure a marchio industriale. Ovviamente più è forte la distintività del prodotto meno si è esposti alle conseguenze commerciali dovute all’introduzione di nuovi concetti che di fatto indeboliscono il valore del bio. È in sostanza – dice Monti – una questione di credibilità del brand”.
Per Paolo Pari, direttore commerciale di Almaverde Bio, la convivenza con le PL è ormai un dato di fatto con cui fare i conti, ma che non per forza deve rivelarsi negativo. Al contrario si rivela un fattore strategico di sviluppo del segmento in termini di profondità degli assortimenti. “Affrontare la fase di maturità del mercato attraverso innovazione di prodotto e di processo, oltre che con progetti di category management è l’atteggiamento vincente contro il rischio di svalutazione del comparto”.
Tanti i “temi caldi” in un comparto che cresce e guarda avanti, ma che deve fare i conti con alcune criticità, una su tutte la questione dei controlli. “Per il futuro del biologico bisogna pensare al biologico del futuro”, ha dichiarato a conclusione del webinar Fabrizio Piva, ad del CCPB. “Intendo – chiosa – che è necessario ripensare ad un biologico caratterizzato da meno controlli e più certificazioni a tutto vantaggio della qualità, del consumatore e, dunque, del sistema”.
Chiara Brandi