La rivista dell’Accademia Americana delle Scienze (Proceedings of the National Academy of Sciences, PNAS), un compendio di articoli scientifici di una vastità impressionante, ha pubblicato un contributo dei biologi dell’Università privata californiana di Stanford e dell’Università nazionale autonoma del Messico che lancia l’allarme sulla drastica diminuzione della popolazione animale nel mondo.
Negli ultimi 100 anni gli animali – ci si riferisce in particolare alla fauna selvatica – si sarebbero dimezzati, una sorta di estinzione di massa. I ricercatori hanno osservato e studiato ben 27.600 specie di uccelli, anfibi, mammiferi e rettili e hanno analizzato in dettaglio anche la perdita di popolazione su 177 specie di mammiferi tra il 1900 e il 2015. I dati raccolti dimostrerebbero che oltre il 30% delle specie di vertebrati si sta riducendo per numero di individui ed espansione geografica. I mammiferi, in particolare, avrebbero perso almeno il 30% della loro estensione geografica, mentre più del 40% delle specie ha subìto un grave declino di popolazione. I più colpiti sono soprattutto i grandi mammiferi del sud-est asiatico, che hanno perso più dell’80% della loro espansione geografica. ‘Questo – conclude l’articolo – è il preludio alla scomparsa di molte più specie e al declino di sistemi naturali che fanno parte della storia del nostro pianeta e della nostra stessa civiltà’.
Tra gli autori della ricerca Paul Ehrlich, professore emerito di biologia a Stanford, tra i primi ad aver sollevato il tema di un’estinzione di massa della fauna selvatica già negli anni Sessanta. Le recenti rilevazioni gli danno ragione.
Maurizio Casiraghi, professore associato di zoologia all’Università di Milano Bicocca, ha così commentato su alcuni giornali lombardi: "La mappa disegnata dallo studio mostra che in un tempo storico brevissimo, di circa un secolo, abbiamo perso quasi il 50% degli esemplari. Può sembrare un numero enorme, difficile da credere, ma rispecchia una sensazione che abbiamo tutti. Quando mi recai per la prima volta in Kenya e Tanzania nel 1990, vidi distese di gnu e antilopi, tante zebre quanti piccioni in piazza Duomo: quando sono tornato negli stessi luoghi, l’anno scorso, non c’era più niente. La differenza è stata impressionante’.
Una considerazione davvero banale – ma il raffronto è inevitabile – è che mentre gli animali diminuiscono drasticamente con la fine di molte specie, la popolazione umana continua a crescere. I due dati sono sicuramente da mettere in relazione. Basti pensare all’Asia: lì la popolazione umana è cresciuta maggiormente e lì è stata più drastica – si può dire drammatica – la perdita della popolazione animale.
Nel 2017 siamo poco meno di 7 miliardi e mezzo. Secondo le previsione delle Nazioni Unite saremo 9,7 miliardi nel 2050 e 11,2 miliardi nel 2100. Uomini e donne, anziani e bambini che dovranno essere nutriti. Cosa ciò potrà significare per la vita sul pianeta, la sua biodervisità, i suoi equilibri naturali è difficile precisare con esattezza ma è facile immaginare: senza politiche adeguate, stili di vita individuali diversi, progressi scientifici sostanziali in molti campi, agricoltura compresa, ci avvicineremo nei prossimi cento anni a un disastro planetario. (a.f.)