“Bisogna accompagnare il consumatore verso un consumo sostenibile e quindi verso le merceologie bio. Un fatto tanto più vero oggi, quanto più le famiglie si sono impoverite. Per superare la guerra dei prezzi con i discount bisogna puntare alla specializzazione”. Così Giovanni Sardone, direttore generale di Altelio, centrale d’acquisto che coordina, fra l’altro, Migro, la rete di 16 cash and carry e due piattaforme CeDicash, spiega in un’intervista esclusiva per Green Planet, come la transizione ecologica si stia complicando sempre più.
Tra i fattori di rallentamento non solo la guerra dei prezzi generata dall’ascesa dei discount, ma anche la crescente perdita di potere di acquisto dei consumatori che fa da contro canto all’impennata dei costi di materie prime, energia e trasporti.
– Come si abbatte sul vostro canale bio quella che, da più parti, è definita come una tempesta perfetta?
“Premetto che noi crediamo molto al settore bio. Bisogna andare verso quella direzione e certamente si farà. Tuttavia oggi c’è una grande incognita che pochi hanno preso in considerazione, anche perché la situazione in cui ci troviamo era difficilmente prevedibile solo pochi mesi fa”.
– Qual è questa incognita?
“Nessuno, oggi, può avere una lettura certa di come si orienteranno in consumi in questa fase di grande incertezza. Forse potremo avere qualche informazione di più alla chiusura del semestre”.
– Perché non è possibile saperlo?
“Perché la tempesta non ha ancora toccato veramente i consumatori. Nel senso che è vero che le famiglie escono da due anni di pandemia impoverite e che, a parità di reddito, i prezzi oggi sono aumentati esponenzialmente; ma è anche vero che sugli scaffali c’è molta scelta di prodotto su cui il consumatore potrà indirizzare le proprie preferenze. E da questo punto di vista, nessuno oggi può dire quale tipologia di prodotto sarà premiata in questa congiuntura di mercato. Il leader? La PL? L’advertising? Ce ne accorgeremo tra qualche mese”.
– Come si sta orientando il suo Gruppo in questo ‘navigare a vista’?
“Nell’alternativa tra prodotto bio e prodotto convenzionale, ad esempio, stiamo mediando. Stiamo cercando di capire cosa verrà premiato dalla massa dei consumatori orientando le nostre scelte di acquisto in base alle esigenze di mercato. Cerchiamo un giusto punto di incontro tra consumatore e industria”.
– Gli obiettivi europei del New Green Deal, già ambiziosi in partenza, si stanno allontanando?
“Indubbiamente quegli obiettivi sono estremamente ambiziosi, oggi più che mai. Sono stati estremizzati ed anticipati sin dall’inizio rispetto a quello che era il reale quadro di mercato. Indubbiamente è giusto che si debba andare in quella direzione, e lo si farà, ma, probabilmente, in questa fase la via di mezzo è la scelta migliore”.
– Si riferisce, parlando di assortimento, al residuo zero piuttosto che bio?
“Esatto. Non dimentichiamo che, considerati i volumi consistenti che le strutture come la nostra hanno da sempre movimentato, stiamo parlando di un settore di nicchia, quello bio, ci riferiamo ad una quota di fatturato molto bassa, quasi irrilevante”.
– Di che cifre stiamo parlando?
“Del 5-6%. Fare la conversione in quel mondo non è facile perché è vero che c’è un valore aggiunto importante in termini di marginalità e in termini, soprattutto, di proposizione di prezzo completamente diverso, ma è anche vero che bisogna fare i conti con quello che richiede effettivamente il mercato anche alla luce dell’assottigliamento della forbice tra prezzo del prodotto bio e di quello convenzionale. Penso che questo semestre sarà importante per capire come muoversi”.
– Come pensate di rimodulare la vostra ‘green economy’ alla luce degli ultimi sviluppi di mercato, in questa fase di transizione ecologica? Il passaggio graduale attraverso il prodotto a residuo zero, potrebbe erodere quote di mercato al quello del bio?
“Non credo. Credo che si tratterà di fatturato che si aggiunge alla nicchia di mercato, il bio, che è, sostanzialmente, stabile”.
– Di quanto potrà crescere la quota di prodotti a residuo zero, in termini di volume di affari?
“Penso che si possa arrivare tranquillamente ad un buon 10%. Non ci siamo ancora, ma ci possiamo arrivare. In pratica, tra bio e residuo zero, l’assortimento cosiddetto ‘green’ potrebbe arrivare ad occupate un buon 15% del nostro giro d’affari”.
– Come impatta l’aumento dei costi sulle vostre politiche ‘green’?
“Sono un problema che riguarda tutte le categorie merceologiche. I problemi ci sono, è inutile nasconderci, ma è anche vero che in alcuni casi si sta molto cavalcando quest’onda. A mio avviso, siamo in presenza di una grande speculazione che parte proprio dall’inizio, attenzione. Chi sale a bordo si adegua alla speculazione. Il vero vantaggio, se proprio vogliamo trovarne uno, è quello che si è riusciti finalmente ad alzare il prezzo ed è un’opportunità da cogliere”.
– In che senso?
“Negli ultimi anni la competitività alla base e lo stressare i prezzi aveva compresso tantissimo i margini”
– Anche sul bio?
“No, sul bio no. Guardando al quadro generale questa situazione congiunturale, teoricamente, è importante per risollevare le sorti. Se si è bravi a capitalizzare questo tipo di passaggio e non tornare agli errori del passato, possiamo ridisegnare la geografia del retail”.
– In che modo?
“Mi spiego. La domanda che mi sto ponendo è questa. Siamo sicuri che il consumatore, con una differenza di prezzo di dieci o venti centesimi in più, non punti piuttosto a un prodotto che lo tuteli maggiormente, posto che la forbice si sta assottigliando? Per me la risposta è sì”.
– Bisogna vedere i fornitori di bio, fino a quanto potranno assorbire i margini…
“Questo è un altro discorso. Ma torniamo al nostro esempio che mi dà la possibilità di potere esprimere in maniera molto chiara un possibile sviluppo, probabilmente controcorrente, in relazione alla crescita dei discount che si pongono in forte competizione con la distribuzione organizzata facendo leva sul prezzo. La situazione attuale che ha portato ad un rialzo dei prezzi potrebbe ben essere cavalcata dai retailer attraverso un lavoro sulla qualità. Non dobbiamo tornare agli errori passati, una volta terminata la bolla, di ricominciare ad inseguire i famosi 0,99, 0,69 o 0,59 centesimi e chi più ne ha più ne metta. Se i discount sono la risposta di chi ha saputo veramente leggere le esigenze del consumatore e sono cresciuti al punto che in un discount medio si trova un assortimento completo che va dal fresco alla lavastoviglie, nel futuro, passata la buriana, sarà la specializzazione che premierà i retailer. Se reimpostiamo la competizione sulla guerra dei prezzi, sappiamo già che è una partita persa”.
– In questo quadro, come avete rimodulato il rapporto tra PL e marca del produttore?
“Sul bio non abbiamo marca commerciale. Sul volume d’affari generale, invece, la nostra PL pesa per il 9%. Non è estremamente elevata perché non abbiamo una vendita diretta e, peraltro, gestiamo anche nostri marchi in conto terzi. E va bene così. In ogni caso, il trend della PL è di costante crescita”.
– Quali sono i principali driver di crescita?
“Il mondo del pet, prima di tutti, sta crescendo in maniera verticale”.
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“Che saranno certamente dei mercati in ascesa anche per il bio. Le intolleranze, in particolare, l’hanno fatta da padroni negli ultimi anni. È un mercato nuovo in cui ci dobbiamo essere; come anche quello dei vegani, fenomeno che sta crescendo moltissimo e che va seguito con molta attenzione”.
Mariangela Latella