Il marchio nazionale dedicato al biologico, di cui abbiamo approfondito il testo normativo in bozza in un commento più di un mese fa, sembra essere la panacea che risolverà tutti i mali ed i problemi del settore.
In queste ultime settimane, accanto ad alcune frodi che sembra abbiano interessato il miele biologico, abbiamo letto parecchie dichiarazioni provenire dalle associazioni di settore che conferiscono al marchio bio facoltà fra cui quella di prevenire tali comportamenti fraudolenti.
Sulla limitatezza circa le funzioni di marketing e di presentazione commerciale di tale marchio già ci siamo abbondantemente soffermati nel precedente commento, che ora abbia anche un ruolo taumaturgico nel redimere frodatori o prevenire frodi è abbastanza curioso.
Tale segno distintivo, vedremo poi in sede di pubblicazione se qualcos’altro sarà cambiato rispetto alle bozze anticipate, non aggiunge nulla in termini di presentazione rispetto al logo UE per un prodotto biologico composto di sole materie prime agricole nazionali. Solo ed esclusivamente un segno grafico tricolore che dovrà essere garantito, per rispetto dei Trattati UE, anche ad un operatore bavarese che utilizza solo materie prime agricole italiane.
Per quale motivo un malintenzionato, spesso neppure “notificato” e quindi non assoggettato al sistema di controllo, dovrebbe fermarsi di fronte all’apposizione di detto logo? Esattamente così come falsifica una dichiarazione, il logo UE e qualsiasi altra informazione al mercato, falsifica pure il logo nazionale.
Neppure di fronte alle pene ed alle sanzioni previste nel nostro ordinamento penale i malintenzionati si fermano. Ne è prova l’approvazione in prima lettura al Senato lo scorso 26 novembre del Ddl 1519 con cui sono state inasprite le sanzioni a tutela dei prodotti alimentari italiani con alcuni capitoli dedicati ai prodotti biologici. Sono state inasprite sia le pene detentive che le sanzioni amministrative a carico di coloro che con condotte reiterate e organizzate spacciano per biologici prodotti biologici che non lo sono, pene ulteriormente inasprite nel caso di quantità rilevanti (vedi news).
Premesso che, seppur necessarie, non è con il solo inasprimento delle pene che si riduce la propensione alla frode, il settore deve tenere alta l’attenzione sulla prevenzione dei crimini alimentari. Non è, infatti,
casuale che fin dagli albori il settore abbia previsto e si sia dotato di un sistema di controllo e certificazione privato/pubblico ed è su questo che il biologico deve investire. Fra l’altro il livello di “difettosità” e la numerosità delle frodi a carico del settore biologico, così come si evince dai rapporti annuali degli organi di vigilanza, è di gran lunga inferiore rispetto a quelli di altri settori tutelati, e questo giustifica la presenza di un sistema di controllo e certificazione che sta assolvendo al proprio compito.
Investire sulle garanzie offerte da questo sistema significa agire su una leva di marketing ben più potente e tranquillizzante per il mercato ed i consumatori rispetto ad un marchio che rischia di confondersi fra molti altri segni grafici. Per raggiungere questo scopo occorre spingere per norme semplici e non penalizzanti come ad esempio il D Lgs 148/2023 che, nonostante molti impegni assunti, ancora non è stato modificato; oppure per la tematica residui il cui decreto è in discussione sui tavoli del MASAF ma sembra che nulla cambi rispetto alla soglia vetusta e non più rispondente alle esigenze del settore.
Il sistema di controllo ha necessità di relazioni e rapporti più collaborativi con gli organi di vigilanza in modo da costituire una squadra vera e propria e non tanto dei meri esecutori di quanto deciso in sede di vigilanza secondo una
logica di sudditanza.
I sistemi informatici devono essere più fluidi e meglio digitalizzati in modo che i vari attori possano interloquire fra loro non tanto nella sola logica del “repository”, o del contenitore, in cui trovo i documenti che mi servono ma in una logica di dialogo “fra pari”, autorità, operatori ed organismi di certificazione. Occorre transitare dalla mentalità cartacea, anche quando questi sono documenti dematerializzati, a quella digitale.
Poi vi sono gli investimenti in materia di promozione e di mercato che devono promuovere il settore nei confronti della domanda, sia interna che esterna. Il mercato interno merita più di uno striminzito 3% sui consumi, così come occorre spingere la leva dell’export perché il nostro paese ha una forte manifattura e necessita, fra l’altro, di molte materie prime agricole, meglio se nazionali. Per questo occorre che i contributi premino la produzione agricola e meno la rendita che favorisce i pascoli e le superfici improduttive.
Le tematiche cui abbiamo accennato costituiscono parte delle fondamenta del settore ed il biologico ha necessità di rafforzarle per crescere ulteriormente. Ecco perché il marchio rischia di essere un’arma di distrazione di massa.
Fabrizio Piva










