La produzione italiana di vino biologico è in gran parte fatta da piccole cantine. Molte di loro sono ormai in grado di affermarsi sul mercato enologico, non solo bio.
Siamo andati nella prima collina di Imola, in provincia di Bologna, a conoscere l’Azienda Agricola Ca’ dei Quattro Archi – 10 ettari di cui sei coltivati a vite.
A Mauro Mazza che, con sua moglie Rita Golinelli enologa, conduce quest’ancor giovane ma appassionante esperienza abbiamo chiesto di presentarcela.
‘La prima vendemmia la facemmo nel 2000 – ci dice Mauro – ed oggi produciamo circa 15 mila bottiglie. All’inizio abbiamo lavorato solo vitigni autoctoni: Sangiovese, Albana e Trebbiano, qualche filare di Malvasia ed altri vecchi vitigni di 50 o 60 anni fa, li conserviamo perché ormai irreperibili. La parte occupata dai vecchi vigneti riguarda circa 1 ettaro. Dal 2002 abbiamo esteso la superficie vitata impiantando differenti cloni di Sangiovese con differenti epoche di maturazione, parcellizzando i vigneti, e ottenendo così annualmente risultati diversi da ogni parcella per poter ottimizzare la produzione. In misura minore abbiamo impiantato anche vitigni di Cabernet e Merlot. Per i nuovi impianti abbiamo effettuato una zonazione dei terreni, con importantissimi studi sulla loro natura chimica fisica, che ci hanno consentito di stabilire i tipi di vitigni, di portainnesti e di cloni adatti alle varie tipologie di terreno. Il vigneto è nato come noi l’avevamo pensato e sono stati necessari investimenti notevoli, per le nostre possibilità. Fin dall’inizio abbiamo fatto certificare interamente le nostre produzioni da ICEA’.
Che vini fate e come li commercializzate?
‘Il Borgo di Nola -Sangiovese di Romagna, il Ligrèza – Trebbiano, il Mezzelune – Albana Docg, sono stai i primi. Dal 2006 abbiamo introdotto una selezione di Sangiovese Superiore, il Tajavént, affinato in prevalenza in legno, e dal 2009 abbiamo il Sassdel – uvaggio Cabernet Sauvignon e Merlot. Gli ultimi due vini vengono ottenuti dalle parcelle particolari dei vigneti, le meglio esposte, le più mature, alcune lasciate anche sovra maturare. All’inizio abbiamo venduto ai privati. Poi abbiamo avuto la fortuna di far assaggiare i nostri vini ad alcuni ristoratori importanti. E con importanti non intendo famosi nel mondo, ma importanti perché appassionati al loro lavoro, alla conoscenza del cibo e del vino. L’approvazione di alcuni di loro all’inizio, e di molti in seguito, ci ha permesso di estendere la nostra sfera d’azione alla ristorazione. Oggi lavoriamo in quote quasi uguali tra privati, ristorazione, gastronomia specializzata ed enoteche’.
Quanto è stato rilevante nella commercializzazione avere la certificazione biologica?
‘Non ha influito minimamente perché il mondo dei consumatori del vino a cui ci rivolgevamo: appassionati, enotecari e gli stessi ristoratori all’epoca, nei primi anni 2000, non davano nessuna importanza al fatto che il prodotto fosse biologico ma gli interessava che fosse buono. Mentre i consumatori di biologico non erano dei gran consumatori di vino. Noi consideriamo l’agricoltura biologica, ed in prospettiva quella biodinamica, l’unico modo per coltivare la terra, non possono esserci compromessi, e non comprendiamo la compresenza di biologico e convenzionale in alcune aziende. Fare certificare il nostro impegno etico-ambientale è molto importante per noi, ma per vendere il nostro vino è necessario che sia buono dal punto di vista organolettico. Nel tempo questa questione è leggermente cambiata, perché il movimento di informazione riferito al mondo del biologico si è evoluto. Molte più persone hanno cominciato a capire cosa vuol dire produrre vino, cosa vuol dire produrre un alimento così complesso. In questo modo, per curiosità, si sono avvicinate persone, che normalmente consumano bio. Allo stesso tempo appassionati di vino hanno scoperto le qualità della produzione naturale e sono andati alla ricerca di altri alimenti biologici’.
Cosa pensate della ormai prossima entrata in vigore del Regolamento europeo sulla denominazione biologica del vino?
‘Il Regolamento è stato frutto di tanti anni di discussione ed ha avuto un processo di elaborazione lungo, in un ambito molto vasto com’è quello europeo. E’ frutto di compromessi tra le esigenze dei diversi paesi però il fatto fondamentale è che oggi, finalmente, abbiamo un disciplinare di produzione del vino biologico. Sicuramente è perfezionabile e spero sia migliorato nel corso del tempo. Ma è fondamentale che il consumatore abbia la possibilità di consumare un prodotto che, quando certificato, sia ottenuto da un certo tipo di processo produttivo. L’esclusione di tanti prodotti impiegati in enologia convenzionale, che non contribuiscono certo a mantenere l’ identità e la genuinità del vino, è un fatto importantissimo. Il vino è frutto di un processo produttivo tanto complesso quanto affascinante e purtroppo non basta la passione, per tanta che possa essere, per conoscerne a fondo i meccanismi.
A nostro parere è necessario che i produttori aprano le proprie cantine e trasmettano le proprie esperienze per fare in modo che i consumatori si possano informare per conoscerle. Maggiori saranno le informazioni fornite ai consumatori appassionati e più grande sarà la loro consapevolezza dei contenuti di un alimento, in questo caso il vino. I consumatori dovrebbero battersi per avere etichette dei prodotti alimentari più attendibili. Perché non mettere in etichetta i livelli di solforosa contenuti in un vino?”
Francesco Diomede