Il paradosso dell’acqua in bottiglia ‘non potabile’

unnamed%20%281%29_36.jpg

Condividi su:

Facebook
Twitter
LinkedIn

In Italia si beve più acqua minerale in bottiglia che acqua potabile da rubinetto. Il paradosso è che l’acqua in bottiglia, in alcuni casi, può essere ‘non potabile’ a norma di legge, nel senso che può contenere sostanze minerali oltre i limiti consentiti per l’acqua che sgorga dal rubinetto di casa. La legge, in altri termini, è più rigorosa e attenta alla salute umana quando fissa i parametri e le norme per l’acqua degli acquedotti pubblici rispetto a quando regolamenta l’attività dell’industria che imbottiglia le acque minerali. Per alcune sostanze, addirittura, non vengono posti limiti di presenza nell’acqua minerale né obbligo di citazione nelle etichette da parte degli imbottigliatori.

Tra le sostanze di cui non c’è obbligo di citazione in etichetta c’è, per esempio, l’arsenico. Di più: la scritta ‘acqua minerale naturale’ altro non significa che acqua imbottigliata così come sgorga dalla sorgente, indipendentemente dai risultati dei controlli che si effettuano sulla salubrità della sorgente medesima. In Italia centrale, nella provincia di Viterbo e a nord di Roma, alcuni acquedotti sono stati chiusi perché l’acqua non rispettava i parametri mentre nelle vicinanze industrie di imbottigliamento hanno continuato ad operare tranquillamente.

Questo quadretto poco rassicurante è emerso dal servizio giornalistico ‘Chiare, fresche e dolci acque’ di Claudia Di Pasquale andato in onda su RAI 3 nella trasmissione Report del 5 giugno. Il problema non è nuovo, tanto che alcuni sindaci e alcune agenzie comunali incaricate della gestione dell’acqua pubblica hanno lanciato già qualche anno fa slogan che avvertivano i cittadini che l’acqua del rubinetto di casa garantita dal Comune era più buona e sicura di quella in bottiglia. Report è andato oltre inviando al British Geological Survay, un’agenzia inglese autorevole, 32 campioni di altrettante acque minerali italiane imbottigliate da industrie titolari di marchi tra i più conosciuti. I risultati delle analisi confermano il problema ovvero confermano che le acque minerali sono a norma nella misura in cui la norma non c’è o è particolarmente favorevole, presentando limiti in taluni casi ben al di sopra di quelli consigliati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. La Di Pasquale ha intervistato alcuni esperti per puntualizzare le principali sostanze al centro del problema e i limiti posti alla loro presenza nell’acqua da acquedotto e nell’acqua minerale. Il berillio è un minerale presente nelle acque vulcaniche dell’Italia centrale, considerato cancerogeno e responsabile di lesioni intestinali in caso di consumo continuato nel tempo: per le acque potabili la legge impone il limite di 4 microgrammi per litro mentre per le acque minerali non c’è alcun limite. Il risultato di questa assurdità è che nelle stesse zone dove gli acquedotti sono stati chiusi per aver superato i limiti posti alla presenza di berillio, gli imbottigliatori hanno continuato ad operare prelevando l’acqua dalle stesse fonti utilizzate dagli acquedotti o in fonti vicine e distribuendo le bottiglie ai supermercati. Per il manganese il limite di legge è di 50 microgrammi-litro per l’acqua che sgorga dai rubinetti e di 300 microgrammi per l’acqua in bottiglia. Per l’alluminio la presenza massima consentita nell’acqua potabile è di 200 microgrammi-litro ma non ci sono limiti per l’acqua in bottiglia. Per l’arsenico – notoriamente nocivo, cancerogeno e all’origine di malattie cardiovascolari – il limite consigliato dall’OMS è di 10 microgrammi per litro ma alcuni Comuni hanno alzato il limite a 50 microgrammi-litro perché altrimenti in quei Comuni non ci sarebbe stata acqua da bere. E gli imbottigliatori? Non hanno l’obbligo di riportare in etichetta il contenuto di arsenico. Una delle marche più famose e acquistate in Italia, considerata assolutamente tra le migliori per qualità, mette in commercio acqua minerale con una percentuale di arsenico di 5,99 microgrammi per litro, ben sotto i limiti di legge ma lontana dai parametri consigliati negli Stati Uniti per tutelare la salute umana corrispondenti a una presenza da zero a 2 microgrammi di arsenico per litro.

Ci sembra evidente che le leggi sulle acque minerali in Italia e sulla loro etichettatura vadano modificate. Chi sopravviverà vedrà. (a.f.)  

Seguici sui social

Notizie da GreenPlanet

news correlate

INSERISCI IL TUO INDIRIZZO EMAIL E RESTA AGGIORNATO CON LE ULTIME NOVITÀ